Hanno la voce, ma non riescono a parlare, soprattutto in pubblico e con alcune persone. Viaggio nel pianeta del mutismo selettivo, disturbo d’ansia poco conosciuto che si manifesta dai tre anni in su e, se non risolto, può generare patologie sociali.

ROMA – L’appuntamento è davanti alla scuola, al momento dell’uscita. Un istituto professionale di moda, alla periferia est della Capitale, che Maria frequenta con ottimi voti. Si volta indietro, attende invano le amiche che le avevano promesso di esserci, almeno per l’intervista, anche se non volevano essere fotografate. Invece le ragazze si sono dileguate nel vociare collettivo e Maria è rimasta sola. Mi porge la mano con gli occhi bassi, in silenzio, come saluto. La madre Roberta scioglie l’imbarazzo dicendo: “Siamo abituate a queste situazioni, a rimanere sole; non fa niente”. Per Maria (la sua e altre storie sono raccontate nel numero di giugno 2015 della rivista Superabile Inail), capelli raccolti in una lunga treccia, non è facile accettare di essere diversa dalle altre compagne, che la snobbano se si tratta di uscire in comitiva o di andare al cinema.

A sei anni ha scoperto di essere una muta selettiva. “Ricorda bene il primo giorno delle elementari – racconta Roberta, infermiera cinquantenne –. Quando l’ho lasciata in classe, ha cominciato a piangere ininterrottamente. E non riusciva a rispondere né alla maestra né ad altre persone. Non era successo all’asilo, dov’era timida ma non bloccata. A casa parlava ed era serena”. Per i genitori comincia il giro dei medici, degli psicologi, degli insegnanti di sostegno. E Maria è sempre più sola, con quell’ansia che le toglie il fiato, che la fa scoppiare a piangere all’improvviso, che le incute paura.

Ma scopre un’alleata potente: la scrittura. Sui fogli bianchi, al computer, sullo smartphone annota pensieri, sensazioni, riflessioni. Che sono diventate pagine stampate nel volume I Quaderni. Dal silenzio il canto: storie di mutismo selettivo. Un altro suo scritto – in cui annota fra l’altro che “il silenzio è come l’oro, ma le parole sono come il cristallo” – è stato tradotto in francese e verrà pubblicato a Parigi all’interno di un libro che raccoglie storie di muti selettivi d’Oltralpe. “Perché di cristallo? Le vedo fragili, per me è molto difficoltoso tirarle fuori. Ma il silenzio mi ha insegnato a crescere dentro e mi ha fatto capire come sono veramente le persone: ho imparato a riconoscere quelle vere dalle false”, confida Maria. La scrittura può rivelarsi come una “autoterapia” efficace per le persone con mutismo selettivo, e diverse storie lo testimoniano. Daniela Conti, 45enne milanese, madre di Marina, 9 anni, muta selettiva, è la curatrice del volume I Quaderni. Dal silenzio il canto: storie di mutismo selettivo, pubblicato da A.G. Editions dove sono confluite alcune di queste esperienze. “Penso che per chi vive il mutismo selettivo – testimonia Daniela – la scrittura sia una sorta di autoterapia che nasce dentro ma si risolve nel mettere a disposizione il proprio sofferto vissuto, affinché diventi patrimonio di tutti”.

Sua figlia “fuori di casa non riesce a parlare. Dice che le si bloccano le parole nella gola, che davvero non riesce a tirarle fuori, come se ci fosse un ostacolo a impedirne l’uscita. Dice che si vergogna, che non sa alzare lo sguardo, e quindi rimane immobile, rigida e fissa, con gli occhi puntati ai piedi”. Marina ha frequentato centri di aggregazione, invitato amichetti a casa e iniziato a pattinare sul ghiaccio “per esprimersi attraverso uno sport particolare che richiede amore, forza e carattere. Ho soprattutto lottato perché i suoi diritti possano essere rispettati, cercando di dar voce al mutismo selettivo in ogni luogo possibile, scrivendo e parlando, incontrando psicologi e insegnanti”, riferisce la madre. Fino a tre anni fa Daniela non conosceva questo disturbo: “Alla materna e in prima elementare mi segnalavano il suo atteggiamento come semplice “timidezza”, che si sarebbe risolta spontaneamente con l’età. Ma poi ho passato giorni e notti a informarmi, cercando riferimenti su Internet, incontrando l’Aimuse e poi Adriana Cigni, l’editrice di A.G. Editions”.

Secondo Daniela, una persona che non parla “probabilmente ha affinato altre capacità, quella introspettiva prima di tutto, la capacità di riconoscersi. Se questa rimanesse inespressa, però, potremmo pensare che finisca per contribuire a creare un isolamento progressivo. La comunicazione invece alleggerisce il fardello che, proprio perché rivolto all’esterno, permette di sentirsi meno soli e più forti”. Daniela ha conosciuto persone, “creato legami, stimolato empatia, raccolto e reso fluide storie dolorose o gioiose”. Tessute con pazienza: “Attraverso la scrittura si possono combattere i propri mostri, le paure e si diventa più forti. Raccontare, a volte, è imparare ad amarsi”. (lab)

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